Hai appena lanciato Banger su Netflix. In che modo la tua esperienza in Ed Banger ha influenzato il tuo debutto cinematografico?

C’è un consiglio che danno sempre ai giovani registi: per il primo film, scegli un tema che ti è vicino. Ed è proprio quello che ho fatto. Ed Banger ha segnato i miei anni formativi, fra tour e serate da DJ; mi è venuto spontaneo creare una satira su quel mondo, che offre tantissimo materiale comico.


Secondo te, il DJ interpretato da Vincent Cassel cosa dice della Parigi contemporanea?

Non so se incarni davvero, nello specifico, qualcosa della Parigi contemporanea. Quello che lui vive, l’invecchiare in un settore dominato dai giovani, confrontarsi con nuovi competitor più cool, la paura di non essere più rilevante, è abbastanza sentito universalmente. Ma il fatto che lui sia scontroso e tendenzialmente in malafede? Questo sì, è assolutamente francese.


Quando è nata la French Touch, qual era il clima artistico a Parigi? Cosa ha reso quel momento così fertile?

La prima ondata della French Touch, fatta di Cassius, Étienne de Crécy e così via, è esplosa poco prima che io ne diventassi consapevole. Vivevo in periferia e frequentavo altri ambienti: ero più vicino ai Beastie Boys che alla scena elettronica, che al tempo non capivo del tutto. Solo con il senno di poi ho compreso davvero il fermento creativo e l’energia da cui quei dischi sono nati. Durante il mio primo viaggio fuori dalla Francia, a New York, ho realizzato l’impatto di quella scena: sentivi Sexy Boy degli Air o Da Funk dei Daft Punk in tutti i negozi della città. Era ovunque. Due brani collegati anche ai loro iconici videoclip, firmati da Mike Mills e Spike Jonze. Non saprei esattamente cosa abbia scatenato quella rinascita nella musica francese, ma quegli artisti hanno davvero messo la Francia sulla mappa mondiale della musica “cool”, come nessun predecessore aveva fatto prima. Da lì è nato un effetto valanga: improvvisamente tutti in Francia volevano farne parte.

Ai giovani registi viene sempre dato questo consiglio: per il primo film, scegli un argomento vicino a casa. È esattamente ciò che ho fatto. Ed Banger ha plasmato i miei anni formativi — tour, DJ set, ecc. Era naturale fare una satira su quel mondo, pieno di materiale comico.

Secondo te, quali condizioni hanno permesso a Parigi di diventare, all’epoca, un laboratorio visivo e sonoro così potente?

Se paragono quel momento alla seconda ondata con Ed Banger, penso che la chiave fosse proprio il senso di appartenenza a una scena. Tutti i protagonisti della French Touch originale erano cresciuti insieme, condividevano gusti e riferimenti, a volte persino avevano suonato nelle stesse band. Era quello che veniva chiamato “Versailles vibe” (era la loro scena, non la nostra). Esisteva davvero un effetto di gruppo, una reciproca ispirazione, che credo sia essenziale perché un movimento musicale prenda piede. E come per noi, la loro musica era sempre accompagnata da un’identità visiva, perché a realizzarla erano le stesse person, c’erano quelli che producevano musica e i loro amici che progettavano i flyer. Crescevano creativamente insieme, avevano le stesse influenze, lo stesso approccio mentale e gli stessi strumenti. I software per la grafica fai-da-te si evolvevano di pari passo con le macchine da home studio che i loro amici usavano per produrre musica.

La French Touch è ormai un patrimonio culturale consolidato, o ne rimane ancora traccia nelle scene giovanili attuali?

Penso che una cosa non escluda l’altra. Esiste sicuramente una forma di orgoglio retrospettivo in Francia verso quel movimento, però non sono sicuro che sia diventato totalmente canonico. Originariamente, la French Touch identificava quei gruppi di fine anni Novanta di cui parlavamo prima. Ed Banger, il cui sound era già abbastanza diverso, è arrivata a metà anni 2000 ed è stata spesso chiamata «French Touch 2.0». Oggi tutto tende a essere riunito sotto la stessa etichetta, anche se in realtà si tratta di due movimenti distinti, seppur cugini. Non mi stupirei se gli artisti di oggi o del futuro venissero anch’essi inseriti in questo calderone. Il termine è troppo comodo per essere messo da parte definitivamente.


Credi che Parigi sia ancora una grande città per l’arte e la creatività? Quali luoghi o scene incarnano oggi quella stessa energia?

Parigi non è mai stata una città dove la creatività nasceva da “luoghi iconici”, come invece accade a New York, Berlino o Londra. Quando Ed Banger faceva ballare i club di tutto il mondo, le persone che incontravamo avevano una visione mitizzata di Parigi. Immaginavano una scena vibrante, con tantissimi locali che alimentavano quel movimento. Ma la realtà è che non ci sono mai stati più di uno o due club attivi (escludendo i locali con servizio bottiglia), cosa piuttosto strana. Parigi è una città molto più conservatrice rispetto alle sue controparti. Queste scene sono nate più che altro nella mente di chi le ha create: erano i sogni dei sognatori.

Non è più necessario essere a Parigi per creare qualcosa di impattante. Suoni e immagini viaggiano più che mai.

Gli artisti e creatori giovani di oggi a Parigi hanno ancora la stessa possibilità di accendere qualcosa di nuovo? Il terreno è più aperto o più codificato?

Oggi sembra più facile diffondere il proprio lavoro, grazie a strumenti accessibili e utilizzati in tutto il mondo. D’altro canto, c’è il rischio di un’omologazione estetica. Ma non ho dubbi che i giovani più ispirati riusciranno sempre a trovare i propri spazi per sviluppare un linguaggio e esprimersi. La creatività delle giovani generazioni è energia vitale: troverà sempre il modo di emergere.


Guardando al futuro, come immagini Parigi fra 10 o 20 anni dal punto di vista culturale, stilistico e delle scene emergenti?

Mi sembra che ormai abbiamo esplorato tutte le forme possibili del rap e anche il revival electro. Amo profondamente entrambi i generi, ma sono pronto a essere sorpreso da qualcosa di totalmente nuovo. È chiaramente compito delle giovani generazioni portare freschezza, sia nella musica che nella moda. Spero davvero di essere sorpreso.


Essere a Parigi è ancora indispensabile per creare qualcosa di significativo o l’energia creativa si è spostata altrove, geograficamente o virtualmente?

Non credo che oggi essere a Parigi faccia più così tanta differenza. I suoni e le immagini circolano più velocemente che mai. Certo, l’energia di un luogo può essere fonte d’ispirazione e contribuire a plasmare qualcosa: questo è importante. Ma non sono sicuro che Parigi sia ancora il posto più fertile da questo punto di vista. Oggi il mondo appare molto aperto; non esiste più un centro culturale dominante dove devi per forza essere presente per sfondare. Ciò detto, credo che Parigi rimarrà sempre una fonte d’ispirazione.